martedì 16 febbraio 2010

Senato della Repubblica - 16 febbraio 2010 - 335ª Seduta pubblica

MOZIONI SULLA SITUAZIONE CARCERARIA

(1-00227 p. a.) (22 dicembre 2009)
DI GIOVAN PAOLO, VITA, NEROZZI, SERRA, MUSI, BIONDELLI, GRANAIOLA, DELLA MONICA, BONINO, MERCATALI, MAGISTRELLI, MAZZUCONI, GARAVAGLIA Mariapia, FONTANA, DONAGGIO, SIRCANA, CARLONI, MARINARO, INCOSTANTE, GHEDINI, BUBBICO, PEGORER, TOMASELLI, NEGRI, COSENTINO, LEDDI, MARCENARO, GARRAFFA, ADRAGNA, FRANCO Vittoria, TONINI, RANDAZZO, PERTOLDI, SANGALLI, BERTUZZI, RANUCCI, BAIO, CHIURAZZI, ROSSI Paolo, BOSONE, CERUTI, TREU, GIARETTA, CECCANTI, SOLIANI, PIGNEDOLI, FOLLINI, STRADIOTTO, CHIAROMONTE, SANNA, VIMERCATI, FIORONI, FERRANTE, SERAFINI Anna Maria, CASSON, SCANU, MARINO Ignazio, MARINO Mauro Maria, BLAZINA, ROILO, FILIPPI Marco, GALPERTI, MOLINARI, ASTORE, MARITATI, SBARBATI, SANTINI, PORETTI, BASTICO, VITALI, PASSONI, DEL VECCHIO, DELLA SETA, AMATI, CHITI - Il Senato,
premesso che:
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che ad oggi supera le 65.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti e «tollerabile» di 64.111, produce un sovraffollamento insostenibile delle strutture penitenziarie italiane, che colpisce detenuti e carcerati come i servitori dello Stato che lealmente e con grande spirito di abnegazione vi prestano servizio;
il tasso di crescita dei detenuti è di poco inferiore alle 800 unità al mese, sicché si prevede che a fine anno la popolazione carceraria potrebbe sfiorare le 67.000 presenze (100.000 nel giugno 2012). In alcune regioni il numero delle persone recluse è addirittura il doppio di quello consentito: in Emilia-Romagna il tasso di affollamento è del 193 per cento, in Lombardia, Sicilia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia è intorno al 160 per cento;
tutto questo accade mentre i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione che li rende non più aderenti al dettato costituzionale e all'ordinamento penitenziario; e ciò ha generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Per questa situazione il nostro Paese è stato richiamato all'ordine a più riprese dal Consiglio d'Europa, che proprio di recente ha riconfermato nei contenuti e nei richiami un rapporto presentato dal commissario Gil-Robles già nel 2005, il quale sottolineava proprio la necessità di un ripristino della legalità nel sistema giudiziario italiano;
da un recente studio del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta infatti che, degli oltre 65.000 detenuti presenti nelle carceri italiane, circa la metà è costituito da persone in attesa di giudizio, e tra questi circa un 30 per cento verrà assolto all'esito del processo; un dato abnorme, un'anomalia tipicamente italiana che non trova riscontro negli altri Paesi europei; in pratica il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso poco dignitose;
sulla base delle statistiche e di alcuni studi dell'amministrazione penitenziaria, la metà degli imputati che lascia il carcere vi è rimasto non più di dieci giorni, mentre circa il 35 per cento esce dopo appena 48 ore; questo pesante turn-over non fa altro che alimentare l'intasamento, il sovraffollamento ed il blocco dell'intero sistema penitenziario, dissipando energie nonché risorse umane ed economiche;
quasi il 40 per cento dei 65.000 carcerati si trova recluso in cella per aver violato il testo unico sulle droghe; mentre il 27 per cento della popolazione detenuta è tossicodipendente. Secondo il sesto rapporto sulle carceri redatto dall'associazione Antigone, il numero di tossicodipendenti che annualmente transitano dalle carceri italiane (26.646 nel 2006, 24.371 nel 2007, solo per fare un esempio) è decisamente superiore a quello di coloro che transitano dalle comunità terapeutiche (17.042 nel 2006, 16.433 nel 2007), il che dimostra come l'approccio terapeutico per questo tipo di detenuti sia stato concretamente dismesso. Al sistema penitenziario viene dunque affidata la maggiore responsabilità nel contrasto al fenomeno delle tossicodipendenze, e questo è un problema sociale e politico assieme, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa, e che il gruppo con il maggior tasso di recidiva è proprio quello dei tossicodipendenti;
al 10 novembre 2009, i detenuti stranieri reclusi negli istituti di pena risultavano essere 24.190 (pari a circa il 37 per cento del totale); gli stranieri ristretti nei nostri istituti di pena sono, nella maggioranza dei casi, esclusi dall'accesso ai benefici penitenziari per la carenza di supporti esterni (famiglia, lavoro e altro) ed il loro reinserimento sociale appare sempre più problematico a causa della condizioni di irregolarità che li riguarda;
tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 32,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 64,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò accade nonostante le statistiche abbiano dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva molto basso (circa il 28 per cento), mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale del 68 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati, aumentando la sicurezza sociale;
solo un detenuto su quattro ha la possibilità di svolgere un lavoro, spesso peraltro a stipendio dimezzato perché condiviso con un altro detenuto che altrimenti non avrebbe questa opportunità; mentre la percentuale delle persone recluse impegnate in corsi professionali è davvero irrisoria e non arriva al 10 per cento. Circa l'85 per cento dei lavoranti è alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria e svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto; il restante 15 per cento è costituito per la maggior parte da semiliberi che svolgono attività lavorativa in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Nella stragrande maggioranza dei casi, l'impossibilità di avviare i detenuti a programmi di lavoro è dovuta all'insufficienza degli educatori presenti in carcere, cioè di coloro che sono chiamati a stilare le relazioni a sostegno della concessione del lavoro esterno;
attualmente nelle carceri poco meno di 650 persone sono sottoposte al cosiddetto «carcere duro», ossia a quel regime detentivo speciale di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario che è stato sensibilmente inasprito con l'approvazione della recente legge n. 94 del 2009, la quale ha definitivamente reso la detenzione speciale una modalità ordinaria e stabile di esecuzione della pena; ciò, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, al di là di ogni opinione di merito sui diritti umani, pone evidenti problemi di organizzazione e compatibilità comunque da prendere in seria considerazione (si pensi all'onere di lavoro per esempio per i magistrati di sorveglianza del Lazio);
a causa del sovraffollamento, un numero sempre maggiore di detenuti è costretto a scontare la condanna all'interno di istituti di pena situati a notevole distanza dalla propria regione di residenza, il che, oltre a contrastare con il principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, non consente di esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue della persona reclusa con i propri familiari e con i servizi territoriali della regione di residenza; senza considerare gli ingenti ed elevati costi, in termini sia economici che umani, che le continue e lunghe traduzioni dei detenuti, dal luogo di esecuzione della detenzione al luogo di celebrazione del processo, comportano per i bilanci dell'amministrazione penitenziaria;
da un recente rapporto sullo stato della sanità all'interno degli istituti di pena esaminato nell'ambito dell'attività conoscitiva avviata dalle Commissioni riunite 2a (Giustizia) e 12a (Igiene e sanità) del Senato risulta che appena il 20 per cento dei detenuti risulta sano, mentre il 38 per cento di essi si trova in condizione di salute mediocri, il 37 per cento in condizioni scadenti ed il 4 per cento in condizioni gravi e con alto indice di co-morbosità, vale a dire più criticità ed handicap in uno stesso paziente. Solo per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse, ben il 27 per cento dei detenuti è tossicodipendente (2.159 di loro sono in terapia metadonica), il 15 per cento ha problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e di altri disturbi psichiatrici, il 13 per cento soffre di malattie osteo-articolari ed il 10 per cento di malattie al fegato; oltre al fatto che la stessa tossicodipendenza è spesso associata ad AIDS (circa il 2 per cento dei detenuti è sieropositivo), epatite C e disturbi mentali;
a fronte di una morbosità così elevata, la medicina penitenziaria continua a scontare un'evidente insufficienza di risorse, di strumenti e di mezzi, il che svilisce i servizi e la professionalità degli operatori sanitari, oltre ovviamente a pregiudicare le attività di trattamento, cura e assistenza degli stessi detenuti. L'attuale situazione di sofferenza in cui versa la medicina penitenziaria è anche dovuta al fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», non risulta essere stato ancora attuato nella parte in cui stabilisce il trasferimento alle Regioni delle risorse finanziarie relative all'ultimo trimestre dell'anno 2008 (per una somma pari ad 84 milioni di euro) e a tutto il 2009, il che non consente di attuare una seria e radicale riorganizzazione del servizio sanitario all'interno degli istituti di pena;
nonostante il passaggio delle competenze al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, non risultano ancora essere stati definiti modelli operativi adeguati all'assistenza in carcere, ciò a causa del fatto che le stesse Regioni sono ben lungi dall'essere attrezzate in modo da poter fornire i servizi medici nei penitenziari, così come, peraltro, ancora ambigua risulta la gestione dei relativi contratti di lavoro e ruoli professionali;
negli istituti di pena italiani sono rinchiusi 71 bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le madri detenute, il che continua ad accadere nonostante risulti ampiamente dimostrato quanto lo stato di reclusione prolungato possa esporre questi soggetti a seri rischi per la loro salute;
le piante organiche della Polizia penitenziaria, stabilite con decreto ministeriale dell'8 febbraio 2001, prevedono l'impiego di 41.268 unità negli istituti di pena per adulti; al 20 settembre 2009 nelle carceri italiane risultavano in forza 35.343 persone, con uno scoperto di 5.925 unità (circa il 14 per cento); per il personale amministrativo è previsto un organico di 9.486 unità, mentre i posti coperti risultano essere 6.300, con uno scarto di 3.186 persone. Complessivamente, quindi, nell'amministrazione penitenziaria il personale mancante è pari a 8.882 unità;
anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352, il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il Ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'amministrazione penitenziaria, pur in presenza di tutte le risorse economiche, non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo, ad un sistema di frammentarie collaborazioni precarie e insufficienti;
l'alto numero dei suicidi in carcere registrato nel 2009 dipende anche dalle condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena e dalle aspettative frustrate di migliori condizioni di vita al loro interno, soprattutto per quanto riguarda le persone sottoposte a regimi carcerari più restrittivi rispetto a quello ordinario;
i fondi della Cassa delle ammende, con i quali lo Stato dovrebbe investire in progetti educativi e/o di reinserimento sociale dei detenuti, non vengono utilizzati o vengono destinati ad altre finalità, il che continua ad accadere nonostante il sostegno economico-finanziario delle iniziative volte al reinserimento sociale e alla riabilitazione dei detenuti, insieme all'applicazione delle misure alternative alla detenzione, costituisca lo strumento più significativo di contrasto alla recidiva e quindi di tutela e sicurezza dei cittadini. Ed invero la bassa percentuale di detenuti che lavorano, unita alla cronica esiguità delle risorse finanziarie destinate al loro reinserimento sociale, comporta un alto tasso di recidiva, come dimostrato dalle più recenti evidenze statistiche sopra richiamate;
alcuni dei più rilevanti interventi legislativi adottati in questi ultimi anni - a partire dalla legge n. 251 del 2005 (cosiddetta legge «ex Cirielli») - hanno introdotto forti limitazioni all'applicazione dei vari benefici «extramurari» ai recidivi, i quali costituiscono la maggior parte degli attuali detenuti: si pensi all'aumento della popolazione carceraria a seguito delle introdotte limitazioni per i recidivi specifici o infraquinquennali reiterati per quanto riguarda i permessi premio, la detenzione domiciliare o l'affidamento in prova al servizio sociale, posto che gli stessi non possono più usufruire della sospensione dell'esecuzione della pena ex articolo 656, comma 5, del codice di procedura penale, ciò a seguito dell'inserimento di una nuova lettera c) al comma 9 del predetto articolo;
occorre dunque riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che - soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi - ha finito per imprimere il colpo «mortale» alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario generalizzare l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
è pertanto necessaria ed urgente un'azione riformatrice che parta da una comune riflessione che favorisca la reale attuazione del principio costituzionale di cui all'articolo 27, comma terzo, della Costituzione; dette riforme devono procedere nel senso di garantire al detenuto il rispetto delle norme sul «trattamento» all'interno delle carceri e sull'accesso alle misure alternative, cercando di risolvere non solo il problema del sovraffollamento delle carceri ma anche tutti i problemi del mondo giudiziario che ruotano intorno ad esso,
impegna il Governo ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione della pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda:
a) la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale;
b) l'introduzione di meccanismi in grado di garantire un reale ed efficace rispetto del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti;
c) l'istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti, ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento e su un piano di reciproca parità con i garanti regionali dei detenuti o altre autorità locali e con la magistratura di sorveglianza, in modo da integrare quegli spazi che non possono essere tutti occupati in via giudiziaria;
d) il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini» (legge n. 663 del 1986), da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dall'estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario;
e) l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione della pena relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
f) l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva;
g) la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento;
h) la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali all'interno della regione di residenza;
i) la revisione del sistema di sospensione della pena al momento della definitività della sentenza di condanna, abolendo i meccanismi di preclusione per i recidivi specifici e infraquinquennali reiterati nonché per coloro che rientrano nell'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario; introducendo, nel contempo, termini perentori entro i quali i tribunali di sorveglianza devono decidere sulla misura alternativa richiesta;
l) l'abolizione del meccanismo delle preclusioni di cui all'articolo 4-bis della citata legge n. 354 del 1975 con recupero da parte della magistratura di sorveglianza e degli organi istituzionalmente competenti del potere di valutare i singoli percorsi rieducativi in base alla personalità del condannato, alla sua pericolosità sociale e a tutti gli altri parametri normativamente previsti;
m) la radicale modifica dell'articolo 41-bis della citata legge n. 354 del 1975, in modo da rendere il cosiddetto «carcere duro» conforme alle ripetute affermazioni della Corte costituzionale sulla necessità che sia rispettato, in costanza di applicazione del regime in questione, il diritto alla rieducazione e ad un trattamento penitenziario conseguente;
n) l'adeguamento degli organici della magistratura di sorveglianza, del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti;
o) il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione;
p) l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000, n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»), anche incentivando la trasformazione degli istituti penitenziari, da meri contenitori di persone senza alcun impegno ed in condizioni di permanente inerzia, in soggetti economici capaci di stare sul mercato, e, come tali, anche capaci di ritrovare sul mercato stesso le risorse necessarie per operare, riducendo gli oneri a carico dello Stato e, quindi, della collettività;
q) l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini;
r) la limitazione dell'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque l'adozione degli opportuni provvedimenti legislativi volti ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;
s) la possibilità per i detenuti e gli internati di coltivare i propri rapporti affettivi anche all'interno del carcere, consentendo loro di incontrare le persone autorizzate ai colloqui in locali adibiti o realizzati a tale scopo;
t) l'istituzione di un'anagrafe digitale pubblica delle carceri in modo da rendere la gestione degli istituti di pena trasparente al pubblico;
u) una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, come previsto dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
v) la modifica del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in particolare prevedendo che anche l'attività di coltivazione di sostanza stupefacente destinata ad un uso esclusivamente personale venga depenalizzata ed assuma quindi una rilevanza meramente amministrativa in conformità a quanto previsto dal referendum del 1993.

(1-00233) (10 febbraio 2010)
D'ALIA, CUFFARO, BIANCHI, GIAI, FOSSON, POLI BORTONE, PINZGER, PETERLINI, THALER AUSSERHOFER - Il Senato,
premesso che:
secondo quanto emerge dai dati forniti dall'associazione Antigone che opera per la difesa dei diritti dei detenuti negli istituti di pena in Italia, nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8.000 unità, passando dai 58.000 reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa 66.000 della fine del 2009: oltre 20.000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare e anche oltre la cosiddetta capienza tollerabile, l'indice che individua il limite massimo per la stessa amministrazione penitenziaria;
quasi il 50 per cento (30.818) delle persone oggi detenute nel nostro Paese è in attesa di giudizio (7.000 in più rispetto a quelle che si trovavano in questa situazione prima dell'indulto del 2006): si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa che fotografa «un'anomalia tutta italiana»;
una situazione questa che definire «allarmante» è quasi riduttivo: 34 dei 204 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 carceri sono «fuori legge», dal momento che accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta;
nel febbraio 2009, il ministro Alfano aveva trionfalmente annunciato il varo di un piano carceri e la nomina di un commissario con poteri speciali che avrebbe dovuto risolvere l'emergenza del sovraffollamento;
questa soluzione proposta dal Governo è, nelle attuali e descritte condizioni, semplicemente irrealizzabile. Infatti, il ritmo di costruzione delle nuove carceri (in un piano più che approssimativo e con finanziamenti che non superano un terzo del fabbisogno) è incomparabilmente più lento della velocità di crescita della popolazione detenuta. E, nella più ottimistica delle previsioni, i nuovi posti promessi potranno essere disponibili solo quando il numero dei detenuti sarà ulteriormente aumentato di 30.000 unità;
ad oggi, infatti, nessun effetto positivo del piano carceri si è prodotto o almeno è stato portato a conoscenza del Parlamento;
se il trend dovesse continuare, la popolazione carceraria potrebbe arrivare nel giugno 2012 a 100.000 unità, a fronte di un calo di 5.500 agenti negli ultimi otto anni, stando alla denuncia delle organizzazioni sindacali della polizia carceraria che prevedono, per il prossimo triennio, l'uscita di 2.500 persone, da contrastare con l'assunzione di almeno 1.800 unità;
nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva 42.268 unità, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i carcerati, come sopra anticipato, sono diventati circa 66.000 e gli agenti in servizio sono 40.000, che diventano 38.000 se si considerano i 2.000 in malattia o in aspettativa per motivi di salute;
con questi numeri, ovviamente pesano le unità, le centinaia, le migliaia di agenti sottratti ai loro compiti principali per essere dirottati su mansioni amministrative o di servizio in uffici sguarniti da più di un decennio a seguito del blocco delle assunzioni e dei tagli nella pubblica amministrazione;
anche il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088, mentre sono appena 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, visto e considerato che a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352 (ciascuno in rapporto libero-professionale, retribuito molto al di sotto dei minimi di categoria e per poche ore al mese), il che comporta, come naturale conseguenza, che gli istituti di pena siano diventati un'istituzione a carattere prevalentemente, se non esclusivamente, afflittivo. A questo proposito il Ministero della giustizia, proprio al fine di coprire almeno parzialmente la totale carenza di organico di tali figure professionali, aveva avviato, fin dal 2004, un concorso per l'assunzione di 39 psicologi, arrivando anche ad approvare la relativa graduatoria nel 2006; nonostante ciò, da quel momento, l'Amministrazione penitenziaria non ha proceduto ad alcuna assunzione dei vincitori del concorso, di fatto preferendo affidarsi ad un sistema di frammentate collaborazioni precarie e insufficienti;
in una circolare del 6 luglio 2009, avente per oggetto la «tutela della salute e della vita delle persone detenute», il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha fortemente raccomandato ai provveditori regionali di offrire ai reclusi più colloqui e maggiori occasioni di intrattenimento, di aumentare le ore d'aria, di tenere aperte le porte delle celle e di non far mancare l'acqua;
di carcere si può anche morire: generalmente, un terzo dei decessi che si verificano dietro le sbarre sono infatti dovuti a suicidio, come rivelano i dati raccolti dal centro di ricerca «Ristretti orizzonti» del carcere di Padova. Nel 2009 è stato registrato il numero più alto di detenuti suicidi nella storia della Repubblica (72 su 171 persone morte in carcere). I decessi - secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere - sarebbero molti di meno se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di soggetti che provengono da realtà di emarginazione sociale. Il 30 per cento dei detenuti è tossicodipendente, il 10 per cento ha una malattia mentale, il 5 per cento è sieropositivo, il 60 per cento ha una qualche forma di epatite. Negli anni '60 - stando sempre ai dati forniti dall'Osservatorio - i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi, i tentativi di togliersi la vita addirittura quindici volte meno frequenti. Complessivamente, dal 2000 al 2009, sono state 558 le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre, mentre i tentati suicidi (nello stesso arco di tempo) sono stati 7.717;
la situazione è resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai 13.000 euro all'anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto, assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del personale) si è passati ai 6.383 del 2009;
infine, e questo costituisce il dato più inquietante, nei sedici asili nido funzionanti negli istituti penitenziari stanno crescendo 80 bambini sotto i tre anni di età, figli di detenute, mentre circa una trentina di donne sta trascorrendo i mesi di gravidanza in cella: una situazione che, come ha dimostrato uno studio condotto nel 2008 nel nido del carcere di Rebibbia, può avere gravi conseguenze sul nascituro;
ci sono, inoltre, 40.000 minori (tra i tre e i dieci anni) che hanno in carcere un genitore con il quale non possono vivere: l'attuale legislazione prevede che, soltanto in presenza di determinati requisiti, la condanna possa essere scontata agli arresti domiciliari insieme al proprio figlio;
ciò esprime la contraddizione di una politica forte con i deboli e debole con i forti che introduce nuovi reati e immette nel circuito giudiziario e carcerario un gran numero di nuovi detenuti, specie immigrati;
quanto denunciato costituisce una palese violazione dei principi della Carta costituzionale, in particolare dell'articolo 32, che tutela la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività», e dell'articolo 27, secondo il quale «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
in una sentenza del 16 luglio 2009, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato per la prima volta l'Italia per violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (che disciplina il divieto di tortura e delle pene inumane e degradanti), proprio in ragione delle sopra descritte condizioni di sovraffollamento delle carceri;
infatti, secondo gli standard di riferimento utilizzati dalla Corte di Strasburgo, ogni detenuto ha diritto a 7 metri quadrati di spazio in cella singola e 4,5 metri quadrati in quella multipla: questa è la ragione per cui il nostro Paese è stato condannato al risarcimento di 1.000 euro per aver inflitto un danno morale al cittadino bosniaco Sulejmanovic, un rom condannato per furto nel 2002;
nelle più alte sedi è stata recentemente ribadita la necessità di una maggiore vicinanza a tutte le realtà in cui c'è sofferenza a causa della privazione dei diritti elementari, tra cui quella delle carceri terribilmente sovraffollate, nelle quali non si vive decentemente, si è esposti ad abusi e rischi, e di certo non ci si rieduca,
impegna il Governo:
ad adottare una politica carceraria tendente a contenere il sovraffollamento, attraverso la riduzione dei tempi di custodia cautelare, la rivalutazione delle misure alternative al carcere, la riduzione delle pene per chi commette fatti di lieve entità;
a predisporre un nuovo piano carceri, rispetto a quello presentato il 27 febbraio 2009 dal capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con l'indicazione di reali coperture finanziarie e prospettive di una concreta ed efficace attuazione;
a garantire le risorse necessarie per potenziare la dotazione organica della Polizia penitenziaria affinché essa sia messa nelle condizioni di gestire una situazione a dir poco «esplosiva»;
ad assumere iniziative di competenza per l'assunzione di un congruo numero di psicologi, indispensabili per la vita dei reclusi, nonché ad adoperarsi, in sede di Conferenza Stato-Regioni, affinché sia garantita ai detenuti dal Servizio sanitario nazionale la migliore assistenza medica e psicologica;
ad istituire case famiglia protette in cui accogliere mamme e bambini;
ad adottare le iniziative necessarie per istituire un organo di monitoraggio indipendente che controlli i luoghi di detenzione, in linea con quanto stabilito dal protocollo addizionale alla Convenzione Onu contro la tortura, firmato anche se non ancora ratificato dall'Italia, che ne prevede l'istituzione in tutti gli Stati aderenti entro il termine di un anno dalla ratifica;
a stipulare eventuali accordi internazionali per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei rispettivi Paesi d'appartenenza.

(1-00235) (11 febbraio 2010)
BRICOLO, MAZZATORTA, ADERENTI, BODEGA, BOLDI, CAGNIN, DIVINA, FILIPPI Alberto, FRANCO Paolo, GARAVAGLIA Massimo, LEONI, MARAVENTANO, MAURO, MONTANI, MONTI, MURA, PITTONI, RIZZI, STIFFONI, TORRI, VACCARI, VALLARDI, VALLI - Il Senato,
premesso che:
la pena detentiva svolge diverse e non sovrapponibili funzioni: da quella restrittiva in senso stretto a quella di prevenzione generale e speciale;
è proprio attraverso il sistema penitenziario che si deve garantire un adeguato bilanciamento tra le tre funzioni essenziali della pena detentiva e l'obiettivo della rieducazione del condannato nella fase esecutiva;
l'interesse nei confronti della funzione rieducativa della pena, costituzionalmente garantita, non può comunque incidere o annullare la funzione essenziale della detenzione, che è essenzialmente quella afflittiva, che altri ordinamenti, a partire da quello statunitense, hanno efficacemente utilizzato attraverso pene detentive di breve durata per valorizzarne l'utilità come strumento di prevenzione specifica;
i reiterati tentativi di risolvere il problema del sovraffollamento delle strutture carcerarie attraverso provvedimenti generalizzati di clemenza alla prova dei fatti si sono rivelati del tutto inutili ed anzi controproducenti, considerato che la popolazione carceraria è costantemente aumentata dal 2006 ad oggi con una crescita media mensile da 800 a 1.000 unità;
il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'accertare lo stato di emergenza legato al sovraffollamento delle carceri, si è dichiarato nettamente contrario ad affrontare il problema con ulteriori amnistie o indulti, cercando invece una soluzione strutturale e duratura nel tempo;
il fenomeno del sovraffollamento è aggravato dal progressivo aumento dei detenuti stranieri che negli istituti penitenziari del Nord del Paese raggiungono percentuali ben superiori a quelle dei detenuti italiani, confermando una correlazione tra il fenomeno dell'immigrazione clandestina e i tassi di delittuosità: rispetto ai 65.067 detenuti ad oggi presenti nelle 204 strutture penitenziarie, ben 24.152 sono stranieri; 20.959 sono i minorenni segnalati dall'autorità giudiziaria minorile agli uffici di Servizio sociale per i minorenni, con una crescente incidenza dei fenomeni di devianza minorile straniera;
si rende improcrastinabile adottare interventi di riorganizzazione del circuito penitenziario che, attraverso sinergie tra il Ministero della giustizia, le Regioni e gli enti locali, nonché in parallelo rispetto al processo di federalismo demaniale, sappiano adeguare il sistema penitenziario alle effettive esigenze della fase esecutiva della pena, a garanzia delle sue funzioni tipiche;
lo strumento del "Piano carceri", laddove definito ed attuato in cooperazione con gli enti territoriali competenti e preordinato al riequilibrio territoriale della rete carceraria, può consentire di evitare il ricorso a misure di clemenza relativa, come quelle alternative alla detenzione, soprattutto nei casi in cui queste si rivelano non proporzionate alla gravità del reato commesso;
in virtù del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, dal 14 giugno 2008 sono trasferite al Servizio sanitario nazionale tutte le funzioni sanitarie svolte dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia. Il decreto, nel disciplinare, in attuazione dell'articolo 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanità penitenziaria, ha in particolare disposto a favore del trasferimento al Servizio sanitario nazionale, per il funzionamento della medicina penitenziaria, le seguenti risorse: 157,8 milioni di euro per l'anno 2008; 162,8 milioni di euro per l'anno 2009; 167,8 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010;
l'articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che, nell'assolvimento delle funzioni di medicina penitenziaria trasferite al Servizio sanitario nazionale, spetta alle Regioni disciplinare gli interventi da attuare attraverso le Aziende sanitarie locali in conformità ai principi definiti dalle linee guida dettate dal medesimo decreto;
è necessario promuovere l'attivazione di un sistema permanente di monitoraggio sull'attuazione del predetto trasferimento e sull'adeguatezza delle relative risorse, in rapporto anche alla dislocazione territoriale delle strutture carcerarie, al fine di evitare che eventuali disavanzi gestionali siano posti a carico delle Regioni territorialmente competenti,
impegna il Governo:
a proseguire ed ulteriormente sviluppare la politica di sottoscrizione di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza dei flussi migratori, al fine di consentire che i detenuti stranieri condannati per un reato commesso nel nostro territorio possano scontare la pena nel loro Paese di origine, e contemporaneamente a promuoverne il monitoraggio, per garantire effettività agli impegni assunti in tema di esecuzione della pena in condizioni di reciprocità;
a migliorare durante il periodo di detenzione le modalità di identificazione dei detenuti extracomunitari e di acquisizione dei documenti abilitativi al rimpatrio onde rendere possibile l'immediata espulsione una volta avvenuta la dimissione dal carcere, senza necessità di trattenimento nei Centri di identificazione;
a promuovere la cooperazione tra il Ministero della giustizia, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed il Ministero della salute, al fine di migliorare le condizioni di permanenza in carcere dei detenuti, sia favorendo lo svolgimento all'interno o all'esterno degli istituti penitenziari di attività lavorative sinergiche con il mercato del lavoro ed utili alla collettività, sia completando il processo di trasferimento delle funzioni di medicina penitenziaria al Servizio sanitario nazionale;
a predisporre un sistema permanente di controllo sui servizi di assistenza sanitaria erogati ai detenuti, al fine di monitorarne l'andamento e di verificarne l'impatto, in termini assistenziali e finanziari, sulle strutture sanitarie territoriali di riferimento;
a considerare prioritaria la realizzazione del "Piano carceri", quale strumento di programmazione coordinata tra il Ministero della giustizia, le Regioni e gli enti locali territorialmente competenti nel settore dell'edilizia penitenziaria, finalizzato a modernizzare la rete esistente delle strutture carcerarie, ad adeguarla alle effettive esigenze del sistema giudiziario e ad omogeneizzarne la dislocazione nelle diverse aree del territorio nazionale;
a procedere nella realizzazione del Piano carceri in sinergia con il processo di federalismo demaniale prefigurato nella legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, al fine di consentire che, nel quadro unitario delle regole sul funzionamento del sistema penitenziario definite dal Ministero della giustizia, sia comunque promosso il coinvolgimento degli enti locali territorialmente competenti nella gestione dell'edilizia penitenziaria quale strumento di prevenzione dello stato di isolamento ed abbandono di queste realtà rispetto al contesto di riferimento.

(1-00236) (11 febbraio 2010)
FLERES, MUGNAI, ALLEGRINI, BALBONI, BENEDETTI VALENTINI, CENTARO, GALLONE, DELOGU, ALICATA - Il Senato,
premesso che:
le condizioni di sovraffollamento alle quali sono sottoposte le carceri italiane mortificano le condizioni umane dei detenuti e l'attività quotidiana della Polizia penitenziaria e degli altri dipendenti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), oltre che deludere i dettami costituzionali, ed in particolare il terzo comma dell'art. 27 della Costituzione Italiana che recita: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato";
dai dati del Dap, aggiornati al 30 settembre 2009, risulta un'allarmante crescita media di circa 800 reclusioni al mese, che hanno già determinato il superamento della capienza tollerabile di detenuti negli istituti di pena italiani. A fronte di una capienza regolamentare di poco più di 43.000 detenuti e di un limite cosiddetto tollerabile di 64.100 unità, alla data dell'ultimo rilevamento pubblicato nel sito del Ministero della giustizia, i detenuti risultavano essere 64.595, contro i 63.981 registrati alla data del 1° settembre 2009. Solo nel mese di settembre 2009, quindi, la popolazione detenuta è cresciuta di 614 unità superando il limite massimo tollerabile determinato dal Ministero;
questa condizione, da sola, potrebbe determinare una serie di conseguenze passibili di ulteriori condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo e del Consiglio d'Europa, come già avvenuto in passato;
da un'analisi della statistica pubblicata dal Dap, emergono alcuni dati dei quali, necessariamente, si deve tenere conto per poter pervenire più sollecitamente ad una normalizzazione della situazione in atto;
al 30 settembre 2009, su un totale di 64.595 reclusi, solo 31.363 risultano essere condannati, e 1.878 gli internati. I rimanenti 31.354 detenuti sono ancora in attesa di giudizio e, quindi, almeno in astratto, potenzialmente non colpevoli;
i detenuti di altra nazionalità sono il 37 per cento; dagli stessi dati risultano 23.999 detenuti stranieri su una popolazione carceraria complessiva di 64.595 unità. Più del 37 per cento dei detenuti è dunque di nazionalità straniera. Di questi, come risulta dal censimento del primo semestre 2009, su un totale di 23.609 reclusi stranieri, 8.741 provengono da Paesi europei, 1.177 provengono dal continente asiatico e 1.323 dall'America. Dall'Africa, su un totale di 12.348 reclusi, 2.999 sono di nazionalità tunisina, 5.136 marocchina, 1.080 provengono dall'Algeria, 1.096 dalla Nigeria e 2.037 da altri paesi dell'Africa;
13.848 italiani risultano reclusi nel primo semestre del 2009 per reati connessi alle leggi contro la droga e più di un quarto dei reclusi risulta tossicodipendente. A fronte di un numero così alto, dovranno essere intensificati gli sforzi che lo Stato italiano compie, con le proprie strutture e attraverso le comunità terapeutiche, per affrontare in via preventiva il problema della tossicodipendenza come causa, piuttosto che doverlo reprimere come effetto. Tanto è dimostrato anche dalla percentuale di recidiva al crimine e al reingresso in carcere che vede primeggiare i soggetti tossicodipendenti;
l'Ufficio statistiche del Dap registra alla data del 30 giugno 2009 che ben 11.294 detenuti, su un totale di 30.549 condannati, quindi quasi il 37 per cento dei reclusi, deve scontare fino a tre anni di carcere. Inoltre, osservando le cifre risultanti dai residui di pena, risulta che, sempre nel primo semestre del 2009, in Italia erano reclusi ben 19.823 detenuti che dovevano scontare una pena inferiore ai tre anni, cioè circa il 65 per cento. Se a questo si aggiunge che un terzo dei cittadini che subiscono un ingresso in carcere viene scarcerato dopo meno di 24 ore, si comprende come la facilità dell'uso della carcerazione preventiva, oltre a ledere la presunzione di innocenza conclamata nell'ordinamento italiano, inficia l'efficienza dei penitenziari italiani, con dispendio di risorse umane ed economiche;
a fare da contraltare alla statistica della reclusione intramuraria, si contano, compresi i casi ereditati dagli anni precedenti, sempre nel primo semestre del 2009, 8.191 casi di affidamento in prova (dei quali 2.283 tossicodipendenti), 1.126 casi di semilibertà e 4.932 casi di arresti domiciliari. Risulta utile sottolineare che queste cifre, sicuramente non trascurabili nella loro entità, sono estratte da un dato complessivo che prevede non solo i condannati ma anche i detenuti in attesa di giudizio, quindi ancora non dichiarati colpevoli. Resta comunque un totale di misure diverse dalla detenzione intramuraria di 14.249 casi contro 64.595 reclusi nelle carceri, quindi una percentuale del 18 per cento complessivo;
le conseguenze dell'intasamento carcerario, determinato dal frequente ricorso all'arresto intramurario per soggetti in attesa di giudizio, per tossicodipendenti e per stranieri, determina una forte compressione delle normali attività lavorative e rieducative alle quali il sistema penitenziario italiano è destinato per volontà della Costituzione;
la carenza di fondi destinati al lavoro in istituto, legata al sovrannumero, determina l'oggettiva difficoltà a favorire un percorso riabilitativo, così come i corsi professionali di avviamento al lavoro e i corsi scolastici. Nel primo semestre 2009, solo 3.864 detenuti hanno seguito dei corsi professionali, e 13.408 reclusi hanno svolto funzioni di lavoranti, per periodi non definiti, ma sicuramente non annuali. Considerando che chi ha svolto funzione di lavorante non ha partecipato a corsi di formazione professionale, risulta che 17.272 detenuti, su una popolazione carceraria complessiva di 64.595 donne e uomini, hanno avviato un percorso concreto di recupero. Per più del 70 per cento dei detenuti (dato che, peraltro, deve necessariamente tener conto di quanti, comunque, non intendono usufruire di tali opportunità) la reclusione intramuraria risulta solo un'espiazione della pena;
lo stesso organico del Dap risulta carente secondo i parametri "ordinari", avendo in forza di decreto ministeriale la previsione di 41.268 unità di Polizia penitenziaria negli istituti di pena per adulti e riscontrando al settembre del 2009 uno scoperto di circa 6.000 unità. Lo stesso vale per il restante personale, con una carenza di più di 3.000 persone;
lo stesso discorso vale per educatori e psicologi, allo stato insufficienti per svolgere proficuamente il loro lavoro, nonostante gli sforzi e la passione. Poco meno di 700 educatori (circa 1.000 quelli previsti in organico) e circa 350 psicologi per circa 65.000 detenuti non appaiono un numero adeguato e sufficiente;
un ulteriore effetto causato dal sovraffollamento si registra nella carenza di igiene e di cure sanitarie, con pericolo costante di diffusioni virali, anche nella considerazione che solo poco meno del 2 per cento dei reclusi risulta sieropositivo al test dell'HIV. Lo stesso passaggio al Servizio sanitario nazionale ha riscontrato gravi ritardi ed inadempienze a causa dell'incapacità organizzativa di molte Regioni nella gestione del servizio sanitario all'interno degli istituti di pena;
appare pertanto evidente che la situazione attuale, già difficile da gestire, lo risulterà ancor di più nei tempi a venire. Risulta indifferibile intervenire, con un'azione riformatrice che veda uniti in un rapporto sinergico i diversi dicasteri interessati, al fine di trovare soluzioni che riconducano la detenzione all'interno dell'idea costituzionale e che, contemporaneamente possano rendere meno usurante l'attività dei dipendenti dello Stato, ogni giorno impegnati in un'attività difficile come quella che esercitano gli agenti della Polizia penitenziaria,
impegna il Governo:
a predisporre una riforma del sistema carcerario che ipotizzi la detenzione carceraria nel caso di condanne per i reati più gravi e/o di maggior allarme sociale, ovvero in presenza di recidiva e/o abitualità favorendo, negli altri casi e nel rispetto della legge, forme detentive alternative a quella intramuraria;
a rivedere i presupposti legittimanti l'adozione della misura della custodia cautelare, limitandone l'applicazione solo laddove si proceda per i reati più gravi e/o di maggiore allarme sociale ed ai casi di recidiva ed abitualità;
a potenziare gli strumenti alternativi al carcere, come determinati dalla legge;
a sottoscrivere un protocollo internazionale per l'espiazione della pena nei Paesi di residenza, per gli stranieri appartenenti all'Unione europea e a quei Paesi nei quali sono garantiti i diritti umani;
a potenziare i centri di accoglienza per le pene alternative degli extracomunitari, supportati da servizi efficienti di mediazione culturale e formazione professionale;
a favorire un lavoro sinergico tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quello della giustizia, predisponendo un apposito protocollo d'intesa, da sottoporre alle organizzazioni nazionali del mondo del lavoro e imprenditoriale, per l'impiego di detenuti in attività lavorative proposte da privati, in linea con la legge Smuraglia, rendendo gli istituti penitenziari veri e propri laboratori produttivi, regolarmente inseriti nel mercato esterno, anche facendo ricorso a misure che favoriscano lavoro autonomo;
a creare apposite strutture per donne detenute in presenza di prole, al fine di non dovere "recludere" bambini innocenti in carceri per adulti: queste strutture devono godere del supporto di psicologi infantili e di corsi di risocializzazione e avviamento al lavoro per le ree. Da un'intesa con strutture governative impegnate nel mondo del lavoro femminile, si possono definire accordi per favorire il lavoro delle detenute e garantire una migliore qualità della prole che, si ricorda, non ha commesso alcun reato, ed è spesso di tenerissima età;
a favorire un lavoro sinergico tra il Ministero della salute e quello della giustizia, predisponendo in ogni ospedale, o quantomeno in almeno un presidio sanitario provinciale, delle apposite stanze riservate a detenuti bisognosi di ricovero. Questo favorirebbe un più efficiente utilizzo del personale di Polizia penitenziaria. Attualmente per ogni detenuto da far visitare occorre impiegare tra le 8 e le 12 unità che vengono distolte dal servizio in istituto;
ad attivarsi per automatizzare i cancelli interni alle strutture penitenziarie con l'innovazione di sistemi di video-sorveglianza: questo favorirebbe una drastica riduzione del personale di Polizia penitenziaria preposto all'apertura e alla chiusura dei cancelli, con un migliore e più razionale utilizzo dello stesso;
ad attivarsi per realizzare le docce in camera, per un'ulteriore diminuzione delle mansioni del personale di Polizia penitenziaria, attualmente impegnati a vigilare i detenuti che utilizzano le docce comuni: anche questo accorgimento, apparentemente di dettaglio, favorisce un più razionale utilizzo del personale di Polizia penitenziaria;
ad attuare celermente il Piano carceri che preveda: la chiusura delle strutture non adeguabili a criteri moderni e consoni al rispetto della dignità umana, la vendita delle strutture più piccole o troppo vetuste e la realizzazione di strutture moderne, capaci di sostenere il recupero e la risocializzazione dei detenuti e non solo la pena afflittiva, l'apertura delle strutture ultimate con spostamento del personale dagli istituti da chiudere e l'utilizzo di formule di project financing;
a rispettare l'art. 42 dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975 e successive modifiche, che determina la territorialità della pena;
a trasferire in strutture adeguate, pubbliche o private, i detenuti tossicodipendenti, con percorsi differenziati in funzione della gravità del reato commesso;
ad adeguare gli organici della magistratura di sorveglianza;
ad adeguare il personale di Polizia penitenziaria;
ad adeguare l'organico del personale amministrativo, sanitario, degli educatori e degli psicologi, nonché di mediatori culturali per i detenuti stranieri.

(1-00238) (11 febbraio 2010)
LI GOTTI, BELISARIO, GIAMBRONE, BUGNANO, CARLINO, CAFORIO, DE TONI, DI NARDO, LANNUTTI, PARDI, MASCITELLI, PEDICA - Il Senato,
premesso che:
la situazione delle carceri italiane versa in una situazione drammatica, la cui gravità è stata chiaramente sancita in Parlamento anche dall'ultima Relazione del Guardasigilli sull'amministrazione della giustizia, nella quale si evidenzia il dato di 65.067 detenuti ospitati nel 2009 nelle circa 205 strutture penitenziarie italiane, facendo così registrare un surplus di circa 22.000 detenuti rispetto ai posti compatibili con la disponibilità attuale del sistema carcerario;
secondo i dati diffusi da sindacati degli agenti di Polizia penitenziaria, al 31 gennaio 2010 risultavano detenute 65.800 persone a fronte di poco più di 43.000 posti. I detenuti con condanne definitive sarebbero circa il doppio dei detenuti in attesa di primo giudizio, cui andrebbero aggiunti gli appellanti (circa 10.000) ed i ricorrenti (circa la metà rispetto agli appellanti). Nel complesso, alla data citata, i detenuti in attesa di giudizio sfiorerebbero il 49 per cento del totale, mentre gli internati sarebbero poco meno di 2.000;
secondo tutte le statistiche disponibili, i detenuti stranieri avrebbero raggiunto il numero più alto mai registrato in Italia. Quest'ultimo dato, in parte non certo trascurabile, è dovuto ad un effetto noto come «porta girevole», dal momento che migliaia di cittadini extracomunitari vengono sistematicamente arrestati perché privi di documenti e, altrettanto rapidamente, rilasciati, con un meccanismo, imposto dalle leggi (da ultimo il cosiddetto "pacchetto sicurezza", con particolare riferimento all'introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato), meccanismo tanto oneroso quanto inutile. A tal proposito, restano pochi i Paesi con cui l'Italia ha una convenzione bilaterale che consenta le estradizioni per scontare la pena nel Paese d'origine (con riferimento ai Paesi extracomunitari vale la pena di citare gli accordi bilaterali di riammissione con Marocco, Tunisia, Algeria e Nigeria);
ben 34 istituti penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste, mentre 171 accolgono più persone di quante la capienza regolamentare consenta. Il sovraffollamento delle strutture - in presenza di un saldo attivo, fra detenuti in entrata ed in uscita, pari a quasi 700 unità al mese - è dunque giunto ben oltre la cosiddetta "capienza tollerabile" (stimata in 63.000 unità) con la gran parte delle strutture penitenziarie fatiscenti, obsolete o non più adatte, e tali comunque da determinare situazioni di non vivibilità né per i detenuti né per il personale dell'amministrazione penitenziaria;
in tale contesto si registra, inoltre, una gravissima carenza organica del Corpo di Polizia penitenziaria per circa 6.000 unità; situazione che riguarda anche il personale addetto al trattamento e alla rieducazione dei detenuti. Il Governo prevede, per effetto della legge finanziaria per il 2010, l'assunzione di un numero di unità di Polizia penitenziaria inferiore alle carenze di organico, i cui tempi dovranno peraltro necessariamente calibrarsi sull'andamento progressivo dello stato delle costruzioni dei nuovi edifici o padiglioni penitenziari, motivo per il quale se ne prevede pertanto lo scaglionamento in circa cinque anni. La legge finanziaria per il 2010 ha inoltre abolito il blocco del turn over per le Forze di polizia consentendo, nei prossimi tre anni, l'assunzione di 1.800 agenti. Non si appaleseranno, pertanto, rilevanti effetti positivi per l'incremento organico, tenuto conto del fatto che nello stesso periodo si stima che andranno in pensione almeno 2.400 agenti di Polizia penitenziaria. Nello specifico, l'organico degli agenti di custodia, fissato l'ultima volta proprio nel 2001, prevedeva un numero di 42.268, a fronte di 55.000 detenuti. Oggi i detenuti sono diventati circa 66.000 e gli agenti di servizio sono 38.000 se si considerano i 2.000 in malattia o in aspettativa per motivi di salute o in via di pensionamento;
il Ministro della giustizia, in sede di audizione sulla situazione degli istituti penitenziari presso la II Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei deputati, in data 14 ottobre 2008, ha affermato: "l'amministrazione penitenziaria ha, tuttavia, avviato un progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, attraverso processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative, anche con l'adozione di nuovi modelli di sorveglianza, capaci di valorizzare la flessibilità e la dinamicità del servizio istituzionale ancora oggi caratterizzato da schemi rigidi e statici". Ad oggi, sarebbe necessario conoscere gli esiti di tale progetto di recupero e razionalizzazione delle risorse umane del comparto;
valutato, inoltre, che:
l'annoso problema del sovraffollamento rappresenta innanzitutto una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità - quindi, ha commesso reati - in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto viene attuato in pratica ed è quotidianamente vissuto dagli operatori del settore e dai detenuti stessi. Sono infatti aumentati i suicidi in carcere nell'ultimo anno, così come sono in costante aumento le aggressioni nei confronti della Polizia penitenziaria, così come aumentano gli atti autolesivi. Proliferano altresì le malattie infettive, altro pericolo da non sottovalutare per tutti coloro che vivono o lavorano in carcere. A fronte di questa situazione, il Governo non fornisce adeguate e concrete risposte né normative né di tipo strutturale, sia sotto il profilo degli investimenti di adeguamento delle strutture esistenti, che in riferimento alla creazione di nuovi istituti penitenziari ove necessario;
il Ministro della giustizia, nell'ambito della citata audizione del 14 ottobre 2008 sulla situazione degli istituti penitenziari, ha affermato inoltre che "è proprio dei giorni scorsi la costituzione, ad opera del nostro capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di un gruppo di lavoro con il precipuo compito di elaborare proposte di riorganizzazione dei circuiti detentivi e di possibili interventi normativi finalizzati a ridurre il sovraffollamento carcerario". Non sono tuttavia chiari gli esiti di tale lavoro;
la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale delle carceri, il cui limite temporale è stato fissato al 31 dicembre 2010, è stata disposta dal Governo con riferimento alla legge n. 225 del 24 febbraio 1992 riguardante la Protezione civile nazionale, il che comporta l'emanazione di una successiva ordinanza che conferisce al Commissario delegato poteri eccezionali in deroga alle leggi ed alle procedure ordinarie;
in sede di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, recante "Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella regione Campania, per l'avvio della fase post emergenziale nel territorio della regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile", approvato in prima lettura dal Senato in data 9 febbraio 2010, il Governo ha introdotto nel provvedimento d'urgenza una disposizione con la quale si affida alla società Protezione civile SpA un ruolo importante, per quanto improprio, rispetto alla natura stessa del sistema di Protezione civile nazionale, in riferimento all'edilizia penitenziaria. Il Commissario straordinario sarebbe infatti autorizzato ad avvalersi della società Protezione civile SpA per le attività di progettazione, scelta del contraente, direzione lavori e vigilanza degli interventi strutturali ed infrastrutturali attuati in esecuzione del programma degli interventi di cui all'articolo 44-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14;
in tale contesto il Governo ha annunciato un "piano carceri" di cui non si conosce l'esatta e puntuale articolazione, ma che certamente non potrà avere effetti positivi in tempi rapidi, anche con riferimento all'implementazione dell'organico al fine di assicurare la buona gestione del sistema, in termini sia di dignità del lavoro che di dignità della detenzione;
a fronte della necessità di un intervento più rapido ed efficace, oltre che meno costoso, indirizzato anzitutto alle decine di strutture penitenziarie da tempo già pronte ma mai utilizzate o alle molte strutture che sono chiuse a causa della mancanza di personale, le disposizioni introdotte per la realizzazione del piano carceri risultano inaccettabili perché legittimano il Commissario straordinario a provvedere ad adempimenti quali la localizzazione delle aree destinate all'edificazione di nuove strutture penitenziarie, in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche, nonché agli articoli 7 ed 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il provvedimento di localizzazione comporterebbe la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere e costituirebbe decreto di occupazione d'urgenza delle aree individuate. L'approvazione delle localizzazioni costituirebbe inoltre una variante dei piani urbanistici producendo l'effetto dell'imposizione del vincolo preordinato all'espropriazione. Si dispone, inoltre, una deroga alla legislazione vigente in materia di espropriazione per pubblica utilità ed in materia di notificazioni ai proprietari ed ogni altro avente diritto o interessato. Avverso il provvedimento di localizzazione ed il verbale di immissione in possesso è ammesso esclusivamente ricorso giurisdizionale o ricorso straordinario al Capo dello Stato, non essendo ammesse le opposizioni amministrative previste dalla normativa vigente, e, in deroga all'articolo 18 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice degli appalti), verrebbe consentito il subappalto delle lavorazioni della categoria prevalente fino al 50 per cento;
si tratta di deroghe amplissime, che ancora una volta non assicurano l'effettivo utilizzo di elenchi di fornitori e prestatori di servizio soggetti a rischio di inquinamento mafioso. I controlli antimafia sui contratti, sui subappalti e sui subcontratti sono infatti effettuati secondo linee guida indicate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere (previsto dall'art. 180, comma 2, del Codice degli appalti) anche in deroga al regolamento sul rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998);
le norme in questione, oltre che foriere di possibili infrazioni comunitarie, sembrano introdurre un meccanismo che, consolidando il moltiplicarsi di decreti presidenziali ed ordinanze di protezione civile in materie che nulla hanno a che vedere con le calamità naturali, a scapito del rispetto delle ordinarie regole di mercato, incentiverebbero il contenzioso senza assicurare adeguata trasparenza e capacità risolutiva agli interventi annunciati. Improvvisamente, infatti, il Governo ha tramutato l'iter ordinario del piano carceri - per cui aveva chiesto la collaborazione di Confindustria e dell'Associazione nazionale costruttori edili e, addirittura, finanziamenti di privati - in un percorso a tappe forzate, mediante l'inserimento di poteri emergenziali in un decreto-legge che, peraltro, trattava altre materie;
del "piano carceri", che secondo gli annunci del Governo dovrebbe risolvere l'emergenza carceraria, si parla dal novembre 2008. Nel gennaio 2009, il Consiglio dei ministri annunciava il via libera al piano ma ancora a fine febbraio veniva reso noto solo un programma di massima. In tale periodo i detenuti ammontavano a circa 56.000 persone. Dopo analoghi annunci a maggio, giugno, agosto, settembre, ottobre e novembre, che davano per imminente il piano, il 3 dicembre 2009 il Ministro annunciava che il piano sarebbe approdato in Consiglio dei ministri. In 12 mesi, intanto, i detenuti sono cresciuti di 10.000 unità, avendo così da soli assorbito la metà dei posti che il piano immagina di realizzare nei prossimi anni;
stando ai ritmi di crescita del numero dei detenuti, il primo carcere effettivamente utilizzabile non sarà disponibile prima del 2012, anno nel quale i detenuti avranno probabilmente superato le 90.000 unità, mentre con riferimento al personale di Polizia penitenziaria le prime assunzioni possibili saranno soltanto 350 che non compenseranno neppure le cessazioni dal servizio, che nel 2008 sono state 720 e nel 2009 circa 800. Negli ultimi otto anni gli agenti della Polizia penitenziaria sono diminuiti di oltre 5.000 unità e nel prossimo triennio si prevede che diminuiranno di altri 2.500 persone;
considerato, peraltro, che:
la popolazione delle carceri continua dunque a crescere, con tutte le relative conseguenze, mentre gli agenti penitenziari sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi ed i medici. Il numero degli educatori è insufficiente, posto che in pianta organica ne sono previsti 1.088 mentre sono 686 quelli effettivamente in servizio; così come risulta deficitaria l'assistenza psicologica, poiché a fronte di quasi 66.000 detenuti gli psicologi che prestano effettivamente servizio sono appena 352 ed il concorso avviato, fin dal 2004, per l'assunzione di 39 psicologi, non ha determinato fino al 2009 alcuna assunzione. Risultano peraltro in costante aumento gli attacchi violenti al personale che ormai in molti casi è demotivato, stanco per l'eccessivo carico di lavoro e comunque non adeguatamente retribuito;
soltanto pochi mesi fa la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire con 1.000 euro un detenuto costretto a stare per due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. Una pena che, per quanto simbolica, mette in evidenza una terribile realtà. È stato calcolato che ciascun detenuto nelle carceri italiane abbia mediamente a disposizione meno di tre metri quadrati di spazio, ben al di sotto dei 7 metri stabiliti dal comitato europeo per la prevenzione della tortura. Ciò significa che normalmente una cella deve ospitare tre detenuti ed oggi nei penitenziari italiani ce ne sono, in media, nove in ogni cella. Tale situazione non può ritenersi compatibile con l'articolo 27 della Costituzione, con cui si sancisce che «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» e «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
l'Unione europea si fonda sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto. La Carta dei diritti fondamentali sancisce tutti i diritti - personali, civili, politici, economici e sociali - dei cittadini dell'Unione europea. Il Parlamento europeo, in tal senso, ha adottato una risoluzione con la quale indica la sua posizione riguardo al cosiddetto programma di Stoccolma che stabilisce le priorità europee nel campo della giustizia e degli affari interni per i prossimi cinque anni. Il Parlamento europeo chiede norme minime relative alle condizioni delle carceri e dei detenuti e una serie di diritti comuni per i detenuti nell'Unione europea, «incluse norme adeguate in materia di risarcimento dei danni per le persone ingiustamente arrestate o condannate». Auspica inoltre la messa a disposizione da parte dell'Unione europea di sufficienti risorse finanziarie per la costruzione «di nuove strutture detentive negli Stati membri che accusano un sovraffollamento delle carceri e per l'attuazione di programmi di reinsediamento sociale». Sollecita anche la conclusione di accordi fra l'Unione europea e i Paesi terzi sul rimpatrio dei cittadini che hanno subito condanne e la piena applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea;
l'attuale legge sull'ordinamento penitenziario stabilisce «le misure alternative alla detenzione»; esse danno la possibilità di scontare le pene non in carcere, vengono concesse solo a determinate condizioni e si applicano esclusivamente ai detenuti condannati in via definitiva. Tali misure, però, non possono rappresentare la soluzione concreta e definitiva all'emergenza carceri ed al sovraffollamento, poiché il carcere deve essere un luogo di sicurezza collettiva, di rieducazione, nel rispetto della dignità dei detenuti. È pertanto essenziale che il personale che lavora in ambito penitenziario possa operare con mezzi idonei e adeguate risorse;
in riferimento alla problematica riguardante il braccialetto elettronico, il Ministro della giustizia, nel corso della citata audizione davanti alla Commissione Giustizia della Camera ha affermato che "i dipartimenti dell'amministrazione penitenziaria stanno svolgendo approfondimenti di natura tecnica, per avere la maggiore certezza elettronica sul fatto che il braccialetto funzioni, in termini di grande efficienza, così come funziona in altre zone di Europa". A dispetto delle gravi insufficienze economico-finanziarie che affliggono l'amministrazione della giustizia e l'amministrazione penitenziaria, a distanza di oltre un anno da tali dichiarazioni risulterebbe perdurante un ingente sperpero di risorse in riferimento all'utilizzo degli strumenti tecnici di controllo a distanza dei soggetti condannati agli arresti domiciliari ovvero all'obbligo di dimora (i cosiddetti braccialetti elettronici). In particolare, come riportato nell'atto di sindacato ispettivo 3-00987, sarebbe stato stipulato un contratto da 11 milioni di euro (di cui 6 solo di spese di gestione) nel 2003 tra il Ministero dell'interno e Telecom Italia per l'utilizzo, sino al 2011, di 400 braccialetti elettronici: soltanto uno su 400 sarebbe attualmente in uso, senza che, prima dell'acquisto, sia stata effettuata opportuna verifica dell'effettiva efficacia di tali strumenti;
esiste una problematica specifica connessa agli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, che si caratterizzano per una grave situazione di sovraffollamento e fatiscenza delle strutture; tali istituti sono destinati ai soggetti che, avendo commesso un reato ed essendo ritenuti infermi di mente, vengono condannati ad una misura di sicurezza all'interno degli stessi, misura che, non essendo direttamente conseguente alla pena giudiziaria comminata, ma costituendo invece un provvedimento di pubblica sicurezza, può essere prorogata più volte. Secondo dati forniti da diverse associazioni nazionali che si occupano di detenzione carceraria, gli internati di questi centri sono passati da 1.200 a 1.600 nel giro di pochi mesi e le medesime associazioni riportano dati allarmanti riguardanti episodi di coercizione;
valutato, infine, che:
come già ribadito, l'articolo 27, comma terzo, della Costituzione sancisce solennemente che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Tale indiscutibile principio di carattere finalistico ed educativo non può identificarsi, sotto il profilo statuale, solo con il pentimento interiore, con qualsiasi pena ed in qualsiasi condizione carceraria. Deve, pertanto, intendersi come concetto di relazione, rapportabile alla vita sociale e che presuppone un ritorno del soggetto nella comunità esterna. Rieducare il condannato significa riattivare il rispetto dei valori fondamentali del giusto rapporto con gli altri; deve intendersi come sinonimo di "recupero sociale" e di "reinserimento sociale". Ciò può avvenire solo in un quadro in cui siano evitate tutte le forme mascherate di amnistia e siano assicurate la certezza del diritto e della pena;
tra le altre, la sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 1990 ha individuato nel fine rieducativo della pena il principio che deve informare di sé i diversi momenti che siglano il processo ontologico di previsione, applicazione, esecuzione della sanzione penale. La Corte ha affermato che «in uno Stato evoluto, la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stessa della pena». Ed ancora che «la necessità costituzionale che la pena debba "tendere" a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». Inoltre, nella sentenza n. 343 del 1987 la Corte ha osservato come «sul legislatore incombe l'obbligo "di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle"»,
impegna il Governo:
ad informare il Parlamento sugli esiti dell'annunciato progetto di recupero e di razionalizzazione delle risorse umane esistenti, con particolare riferimento ai processi di rafforzamento delle motivazioni professionali e lavorative e all'adozione di nuovi modelli di sorveglianza, capaci di valorizzare la flessibilità e la dinamicità del servizio istituzionale;
a reperire le necessarie risorse finanziarie per salvaguardare i livelli retribuitivi degli operatori della giustizia e del settore carcerario, nonché per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di nuove strutture solo ove necessario e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie, in luogo del ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
ad informare il Parlamento sui lavori e i risultati del gruppo istituito con il precipuo compito di elaborare proposte di riorganizzazione dei circuiti detentivi e di possibili interventi normativi finalizzati a ridurre il sovraffollamento carcerario;
a valutare la possibilità di una diversa utilizzazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici che si rivelino non adattabili procedendo, ove necessario, alla costruzione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altri siti, assicurando il pieno rispetto della normativa nazionale e comunitaria vigente;
ad incoraggiare un significativo miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia a qualsiasi livello gerarchico, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l'operatore lungo l'intera sua attività lavorativa, e che abbiano tra i propri obiettivi quello di istruire in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute. Una cultura della Polizia penitenziaria improntata in questo senso, oltre ad apportare un beneficio all'intero sistema e a dargli un indirizzo più attento al trattamento in generale, eviterebbe inutili conflittualità spesso all'origine di rapporti disciplinari ostativi di benefici penitenziari e modalità alternative di espiazione della pena;
a convocare i sindacati di Polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri in Italia e degli operatori;
ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico degli operatori, compresi psicologi ed educatori, previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è esiguo ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia, che non può più attendere;
a disporre le opportune verifiche all'interno degli istituti penitenziari al fine di accertare che le condizioni strutturali e le risorse economiche e strumentali disponibili assicurino che non sia posta in essere alcuna violazione del diritto a non subire trattamenti degradanti o vessatori di natura fisica o psicologica;
a fornire al Parlamento un elenco completo delle strutture penitenziarie già edificate e pronte all'utilizzo che tuttavia non sono state ancora rese operative, evidenziando le motivazioni che sottostanno al mancato utilizzo delle stesse;
in relazione al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 recante «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», a dare conto della sua applicazione e dei risultati e ad illustrare e definire, nel passaggio delle competenze, funzioni e risorse;
a promuovere una costruttiva sinergia fra amministrazione penitenziaria ed enti territoriali, in sintonia con quanto previsto dalle "Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell'Autorità giudiziaria";
ad informare il Parlamento sull'attuale ed effettivo stato di utilizzo degli strumenti tecnici di controllo a distanza dei soggetti condannati agli arresti domiciliari ovvero all'obbligo di dimora (cosiddetti braccialetti elettronici) sulle verifiche dell'efficacia di tali strumenti, sui costi unitari dei braccialetti in questione e sulle condizioni contrattuali per il loro utilizzo.

http://www.senato.it/webtv/webtv_seduta_wmp.htm