sabato 30 gennaio 2010

Interrogazione parlamentare sulla morte di Pier Paolo Prandato nell'OPG di Aversa

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/05619

Dati di presentazione dell'atto

Legislatura: 16

Seduta di annuncio: 263 del 11/01/2010

Firmatari

Primo firmatario: BERNARDINI RITA

Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO

Data firma: 11/01/2010 Elenco dei co-firmatari dell'atto Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma

BELTRANDI MARCO PD 11/01/2010

FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PD 11/01/2010

MECACCI MATTEO PD 11/01/2010

TURCO MAURIZIO PD 11/01/2010

ZAMPARUTTI ELISABETTA PD 11/01/2010

Destinatari

Ministero destinatario:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

MINISTERO DELLA SALUTE

Stato iter: IN CORSO

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. -

Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute.

- Per sapere - premesso che:

secondo quanto riportato dal comunicato stampa del 30 dicembre dell'Osservatorio Permanente sulle morti in carcere (composto da Radicali Italiani, Associazione «Il Detenuto Ignoto», Associazione «Antigone»; Associazione «A Buon Diritto», Redazione di «Radio Carcere», Redazione di «Ristretti Orizzonti»), il 21 dicembre 2009 Pier Paolo Prandato è deceduto presso l'ospedale psichiatrico di Aversa nel quale si trovava ristretto da quasi un anno e mezzo;

Pier Paolo Prandato, 45enne, al processo era stato giudicato non imputabile perché incapace di intendere e volere al momento dei fatti e, quindi, condannato a scontare 4 anni nell'ospedale psichiatrico di Aversa;

il referto del medico legale sulle cause della morte parla di soffocamento da rigurgito di cibo, un'eventualità diffusa soprattutto tra i neonati e non certo tra gli adulti, sicché il magistrato di turno ha deciso di disporre un'autopsia al fine di accertare le cause del decesso;

attualmente gli ospedali psichiatrici attivi sono sei, di cui cinque (Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto) a diretta gestione dell'amministrazione penitenziaria ed uno, Castiglione delle Stiviere, amministrato sulla base di una convenzione tra il Ministero della giustizia e azienda ospedaliera;

complessivamente, in riferimento ai sei ospedali psichiatrici giudiziari, appaiono evidenti condizioni di assoluto degrado, di assenza di una efficace assistenza terapeutica, con un forte ricorso alla amministrazione di psicofarmaci e di sostanziale inesistenza di protocolli e modalità di collaborazione fra gli ospedali psichiatrici giudiziari e i dipartimenti di salute mentale presso le aziende sanitarie locali competenti sul territorio;

in particolare un'inchiesta del Corriere della Sera, pubblicata il 18 aprile 2007 con il titolo «Suicidi e Aids, i "matti" dimenticati», firmata dal giornalista Fulvio Buffi, ha riguardato proprio la situazione dell'ospedale psichiatrico di Aversa che, insieme a quello di Napoli, ospita il 40 per cento degli internati sul territorio nazionale;

in quell'inchiesta un peso rilevante ebbero le dichiarazioni rilasciate dal direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, Adolfo Ferraro, secondo il quale il sessanta per cento degli internati nel centro potrebbe uscire «se ci fossero fuori strutture adatte ad accoglierli e curarli»; strutture che, si afferma nell'inchiesta, o appaiono inesistenti o, nel caso delle aziende sanitarie locali competenti, del tutto assenti, giacché le loro valutazioni sono espresse sulla base dei presunti maggiori costi di assistenza per ogni assistito rispetto a quelli sostenuti nella condizione di internato: «un recluso in ospedale psichiatrico giudiziario costa 600 euro all'anno, fuori ne costerebbe ventimila. E così pure a pena scontata, spesso al giudice di sorveglianza non resta altro che applicare la proroga della reclusione. Lo chiamano «ergastolo bianco»: nessuno sa quando finirà»;

nel 1997 l'allora direttore dell'amministrazione penitenziaria, dottor Michele Coiro, osservò che «il sistema deve cambiare radicalmente. Se il carcere deve servire a risocializzare e la riforma psichiatrica ci ha insegnato che l'istituto non cura, il malato di mente deve aver diritto alla pena»;

a suo tempo la, commissione Pisapia per la riforma del codice penale si orientò all'unanimità dei propri componenti a favore: a) della eliminazione delle misure di sicurezza per le persone non imputabili; b) dell'essenziale previsione della applicabilità delle misure di sostegno non oltre l'entità della pena - contro, appunto, l'incivile possibilità di misure di sicurezza che possono essere prorogate senza limiti -; c) della valutazione periodica dell'efficacia dei protocolli terapeutici; d) del mantenimento di strutture sanitarie specifiche nei casi in cui sia impossibile prescindere dal controllo quotidiano;

a giudizio dell'interrogante il problema delle condizioni e del ruolo degli ospedali psichiatrici giudiziari deve essere oggetto di una seria riflessione da parte dei Ministri interrogati per riuscire a realizzare, al più presto, iniziative adeguate ad affrontare una situazione grave, sotto molti profili, ormai da lungo tempo;

con Pier Paolo Prandato salgono a 175 i detenuti morti dall'inizio dell'anno nei luoghi di reclusione, di cui 72 suicidi. Questi 175 decessi si conoscono perché ne è pervenuta segnalazione, sicché è ragionevole prevedere che gli stessi non rappresentino la totalità dei «morti in carcere» -:

se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, negli ambiti di rispettiva competenza e nel rispetto e a prescindere dalle inchieste avviate dalla magistratura, aprire un'indagine amministrativa interna volta a verificare, in ordine alla morte del signor Pier Paolo Prandato, eventuali responsabilità disciplinari del personale amministrativo e medico operante all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa;

quali misure amministrative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di loro competenza, in tempi immediati, per affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva segregazione, anche laddove immotivata da diagnosi psichiatrica, di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa nonché negli altri ospedali psichiatrici giudiziari sparsi sul territorio nazionale;

quali indirizzi il Governo intenda assumere o confermare, in riferimento ai lavori svolti a suo tempo dalla Commissione Pisapia, in ordine agli articoli del codice penale che interessano l'adozione delle misure di sicurezza per i malati di mente, in conformità con le sentenze della Corte costituzionale. (4-05619)

sabato 23 gennaio 2010

Presidente Margara...! parliamone.

il manifesto - Rubrica FUORILUOGO

Manicomi criminali, la fine dell'ergastolo bianco?
di Alessandro Margara

Opg: una sigla per Ospedale psichiatrico giudiziario, una ditta con fama pessima. Sta cambiando con il passaggio del servizio sanitario in carcere alla Sanità pubblica? La partenza è in forte salita. Il sistema della misura di sicurezza dell'Opg, introdotta dal Codice penale Rocco per i soggetti autori di reati ma prosciolti per vizio totale di mente, si fondava su tre presupposti assolutamente condizionanti: la incurabilità e sostanziale perpetuità della malattia mentale; l'esistenza della pericolosità sociale, alla base del sistema giuridico delle misure di sicurezza, che potevano essere prorogate senza limiti (venne usato il termine «ergastolo bianco»); una condizione detentiva assolutamente priva di possibilità terapeutiche, con strutture e personale carcerari.
Questo sistema è crollato nei primi due punti: la malattia mentale può essere superata con interventi terapeutico-riabilitativi, che si possono giovare anche di nuovi farmaci, consentendo o la guarigione o, comunque, la vivibilità sociale per la persona; grazie all'apporto di sentenze costituzionali e di interventi legislativi, oggi nessuna misura di sicurezza può essere eseguita se non si accerti la pericolosità sociale attuale della persona.
Se vogliamo, resta scalfito anche il terzo punto: una sentenza costituzionale (n.253/2003) ha affermato che il giudice non è obbligato ad applicare il ricovero in Opg: quando le condizioni della persona lo consentono, basta la libertà vigilata e la presa in carico da parte del servizio psichiatrico pubblico. Il che significa, però, che, in mancanza di quelle condizioni, la persona può ancora finire in Opg; e qui, allora, si finisce per sbattere contro il vecchio Opg, le sue solite mura, la solita organizzazione.
Sta, però, passando un modello diverso, che relega la sorveglianza e la sua gestione al perimetro esterno delle strutture, mentre, all'interno, l'istituto è gestito interamente dal personale sanitario, che ha responsabilità, assistenza e cura degli internati.
Queste strutture dovranno dimenticare non solo il modello carcerario, ma anche quello ospedaliero e cercare un modello comunitario di vita. Dovranno inoltre essere limitate a un numero modesto di utenti, anche se questo traguardo potrà non essere immediato, specie per regioni con un alto numero di ricoverati. D'ora in poi, l'Opg dovrebbe essere riservato alle sole persone sottoposte a misura di sicurezza definitiva. Per gli altri, i soggetti in attesa di giudizio, dovranno essere create apposite sezioni negli istituti di pena, sotto la responsabilità del Servizio sanitario nazionale: come già avviene per le sezioni di osservazione psichiatrica, dove vengono inviate le persone che necessitino di una diagnosi. Tali sezioni sono già presenti in varie regioni e dovrebbero essere istituite in tutte.
Nonostante i disegni riformatori, attualmente il numero dei ricoverati in Opg sta crescendo, particolarmente il gruppo degli internati a misure di sicurezza provvisorie, problematici per vari aspetti. Questo accade perché l'Autorità giudiziaria si avvale raramente del ricovero in strutture civili previsto dall'art. 286 del Codice di procedura penale. Per gli internati con misura provvisoria, non si possono utilizzare le aperture del regime giuridico relativo agli internati definitivi, così che essi devono restare continuativamente chiusi negli Opg. Il loro ingresso è privo di garanzie, nel senso che, sempre più spesso, arrivano negli Opg dalla libertà senza una valutazione psichiatrica, che giustifichi la gravosità di quel ricovero. La perizia è generalmente disposta successivamente, la sua durata è tutt'altro che breve e può anche concludersi con il disconoscimento della malattia o la curabilità della stessa senza ricovero.
Rimane il problema dei soggetti giudicati «seminfermi di mente», attualmente ristretti nelle «case di cura e custodia»: in attesa della loro soppressione (obbiettivo di tutti i progetti di riforma del Codice penale), ci sarebbe ancora da ridurre il numero dei ricoverati individuando soluzioni esterne per i molti internati definitivi che hanno terminato il periodo minimo di durata della misura di sicurezza e che restano dentro perché non si trova una qualche accoglienza per loro fuori.
I condizionamenti del vecchio sistema sono tanti. Non sarebbe l'ora di chiudere la ditta Opg per indiscutibile fallimento?

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